#VolontariatoInternazionale: Diario di Claudia
Aggiornamento: 6 dic
La prima conversazione che ho con una Mama avviene dopo appena 12 ore dal mio arrivo in Ecuador e direttamente fiondata ad Amupakin. Questa meravigliosa donna che mi guarda con gli occhi dolci e capelli lunghissimi incredibilmente neri, incredibilmente neanche uno grigio, sulla scala della cabana che mi ospiterà mi racconta di come sia importante che non uccida gli animali che si faranno strada nel mio nido a scapito di una lunga mala suerte. Esiste un serpente che pare non abbia la testa perché un tubo unico, questo preannuncia un qualche avvenimento negativo che cadrà su di te o i tuoi cari, tu scaccialo di casa sperando che pure la sfortuna se ne vada con lui.
Misticismo e pragmatismo tanto dissonanti tra loro coesistono qui in una realtà che spesso si è stati portati a romanticizzare in una dinamica che si rivela concentrata di contraddizioni, contraddizioni che si evolvono nella quotidianità che si vive in questa selva. Un mese non è abbastanza per capire nulla, per assorbire nulla, per scoprire nulla. É a malapena abbastanza per capire come essere qui, come essere spugna per assorbire tutto ciò che è possibile assorbire da queste anfore di conoscenze che mi circondano. Prendersi il proprio tempo ma soprattutto vivere il loro tempo, parole non mie ma di una persona molto più saggia di me. Ed è proprio cosi, perché essere intrusa nella quotidianità di altri significa anche adeguarsi al loro tempo, alle loro modalità, alle loro dinamicità, o perlomeno tentare. L'essere in un luogo tanto diverso, con energie tanto differenti e soprattutto nuove porta ad uno stato di comprensione della realtà che fluttua trainato da chi si ha attorno senza essere troppo consci di ciò che accade attorno.
Concretamente passo le mie giornate osservando le piante che mi circondano, camminando tra le chakra medicinali, abituando ed addestrando la mia mente a ricordare nomi e forme, constatando le poche conoscenze che ho. Discuto con Giacomo ciò che vedo mentre lo aiuto a confezionare i cosmetici prodotti con le piante appena viste. Iniziando lentamente a redigere una mappatura delle specie presenti nelle chakra, sia quelle medicinali che di cacao, e la loro disposizione spaziale mi rendi conto di come spesso non sembra esserci un vero schema spaziale e spesso comodità ed uso sono le principali giustificazioni. Camminare nelle Chakras con le Mamas è contorto ed avventuroso, sublima la mia necessità di conoscenza alla regressione parzialmente-totale delle letture fatte in precedenza. Le chakra vere, quelle tradizionali sono quelle disordinate, quelle che per passare da un albero all’altro ti devi fare strada con il machete, quelle che hanno le formiche a segnalarti la strada non gli stradelli puliti e puntati di ciottoli.
E poi ci sono le “chakra” che hanno fatto gli europei, quelle che tra un albero all’altro hanno 3 m di distanza in orizzontale e 5 in diagonale. Il paradosso della contaminazione occidentale, della tecnologia che sono insite in una dimensione rurale è estremamente ampio e comunque appena iniziato ad essere toccato.
Ripetendomi le tre parole di cordialità che conosco in Kichwa cammino sulla mia strada verso la cucina affinché quando incontri le mamas io possa entusiasta esaudire con parole dissonanti che non richiamano nessuna sonorità familiare nei miei ricordi.
E così il primo mese è passato tra monchi tentativi di conversazioni in Kichwa (che per inciso si stanno evolvendo a mio parere a grande velocità), pasti a base di brodo, yuca e pollo bollenti nonostante i quaranta gradi all'ombra, concentrati sguardi di comprensione ed
incomprensione, passeggiate in sconfinate chakras da aprire con il machete e racconti mistici di brujas e sciamani.
Concludo con una frase che già a priori credo possa raccogliere completamente la mia esperienza da qui alla fine dei miei sei mesi in Ecuador
Nuka lumura mikuni
Io mangio yuca (e aggiungerei Munani, ossia “che bello!”)
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