#VociDalCampo: Due parti di idrogeno per una di ossigeno
Aggiornamento: 12 nov
H2O. Acqua. Senz’acqua non c’è vita. Siamo fatti per il 70% di acqua. Oro blu. Le nuove guerre saranno per l’acqua. Acqua come bene comune. Eccetera eccetera eccetera. Si sentono spesso ripetere queste frasi: banali certo, luoghi comuni, ma indubbiamente vere.
Però, semicitando Elio, l’Amazzonia “avrà pure tanti problemi, ma di sicuro non quello dell’acqua” E invece...
Settembre 2024: fanno impressione e sono prontamente riprese da tanti media le foto del Rio delle Amazzoni in secca, o quasi. A Leticia, sulla triplice frontiera tra Brasile, Colombia e Perù, dove normalmente il fiume è ampio più di 3 chilometri, è addirittura possibile attraversarlo a piedi. Una cosa mai successa a memoria d’uomo.
Aldilà dei sensazionalismi mediatici e delle frasi fatte, com’è la situazione?
La regione attorno a Tena, per la sua vicinanza alla catena montuosa delle Ande presenta livelli di piovosità media tra i più alti dell’intera regione amazzonica. Si superano abbondantemente i 4000mm all’anno (per intenderci più di 4 volte la piovosità media italiana) uniformemente distribuiti nell’arco dell’anno. Le famose due stagioni di Tena: la stagione in cui piove e la stagione in cui diluvia!
In effetti però, ci sono alcuni mesi in cui piove un po’ meno, dove il cielo è in generale più sgombro di nubi e ci sono più giorni di sole intenso, e questi mesi sono proprio agosto e settembre. Ah, ma allora è normale quello che sta succedendo e sono solo i soliti media che esagerano tutto? Non proprio.
Quest’anno la stagione è stata molto meno piovosa del solito e la scarsità di precipitazioni si sta protraendo per gran parte del mese di ottobre e non sono previsti cambi significativi fino almeno a fine mese. È una dinamica che sta colpendo in diversa misura tutto il Sudamerica, ma nella regione amazzonica in modo particolare, proprio perché l’ambiente della foresta non è assolutamente adattato a carenza prolungata di piogge (sennò non si chiamerebbe pluviale!). Tutti i fiumi sono a livelli da minimo storico e questo è fonte di vari problemi: per la navigazione in una regione dove rappresentano la principale via di comunicazione, per la scarsità e le morie di pesci, per l’approvvigionamento di acqua solo per citare i più importanti.
In Ecuador la siccità è estesa su tutto il territorio nazionale, specialmente nella regione meridionale, che già normalmente è piuttosto arida. Ma per l’Ecuador la scarsità di precipitazioni rappresenta un ulteriore problema.
Fino al 2020 l’Ecuador produceva il 92% del suo fabbisogno di energia elettrica da fonti idroelettriche, con vari sistemi di dighe che consentivano la quasi totale indipendenza da fonti fossili nonostante il paese fosse e sia ancora un grosso produttore di greggio.
Poi a poco a poco sono iniziati i problemi: si sapeva da tempo che dipendere quasi esclusivamente dall’idroelettrico vuol dire dipendere da un regime regolare di precipitazioni e negli ultimi anni le parole “pioggia” e “regolare” non vanno più insieme. Lo vediamo in Italia dove si passa da siccità ad alluvione e lo stiamo iniziando a vedere anche qui.
Ma, nonostante questo, un po’ come vediamo nelle azioni e politiche contro il riscaldamento globale, si è iniziato a fare qualcosa quando ormai il danno era praticamente fatto. In pochi anni si è iniziato a riattivare le vecchie centrali termoelettriche (con buona pace delle emissioni inquinanti) e a migliorare la rete di distribuzione e ora la quota energetica dell’idroelettrico si è ridotta a “solo” il 70% del totale.
L’anno scorso è stato il primo anno in cui si è dovuti ricorrere ai black out programmati a ottobre 2023, durati un paio di mesi e poi di nuovo ad aprile 2024, soprattutto perché la Colombia ha smesso di vendere energia all’Ecuador trovandosi anche lei in situazione di carenza, anche se non così grave. Per cercare di tamponare la situazione il governo è arrivato addirittura a noleggiare una “centrale termoelelettrica galleggiante” fatta arrivare via mare dalla Turchia, ma neanche questo è stato sufficiente.
Del resto nessuno (?) si aspettava “la peggiore siccità degli ultimi 61 anni” (ma i dati pluviometrici in Ecuador si sono iniziati a registrare guardacaso proprio nel 1963...!).
E con la siccità estrema arrivano anche gli incendi. A Quito alla fine di settembre sono andati in fumo 146 ettari di bosco nelle montagne che circondano la città.
Un incendio doloso, si vocifera per liberare da vincoli ambientali terreni appetibili per nuovi complessi residenziali, che a causa dell’estremo secco si è propagato in maniera incontrollabile e ha richiesto giorni per poter essere domato.
Mentre sto scrivendo le piogge stanno lentamente tornando nella regione amazzonica, dando almeno sollievo dal caldo delle scorse settimane. Ma ci vuole ben altro, primo perché le piogge non ci sono ancora state nella regione meridionale del paese, dove è presente il principale sistema di dighe generatrici di energia elettrica, secondo perché ci vuole ben altro per tornare alla normalità. Secondo gli esperti saranno necessari 15-30 giorni di piogge costanti per far tornare gli invasi che ora sono a livelli minimi verso quote più normali. Altri dicono che l’emergenza durerà fino a marzo-aprile 2025, l’inizio della stagione piovosa in tutto il paese.
La situazione è critica e viene gestita in maniera tragicomica dal governo, che tra una dimissione del Ministro dell’Energia e l’altra (siamo già al terzo dall’inizio della crisi), ha aspettato fino all’ultimo a iniziare i blackout programmati, sperando forse in un miracolo, perché a febbraio ci sono le elezioni e i blackout, si sa, fanno perdere consensi al governo in carica. Fino alla settimana scorsa la nuova ministra faceva annunci mirabolanti in cui diceva che le ore di blackout si sarebbero ridotte da 8 a 6 e poi dalla settimana dopo a sole 4 ore al giorno. Per poi contraddirsi dopo pochi giorni, evidentemente quando le hanno detto che l’acqua nelle principali dighe del paese era veramente agli sgoccioli, quando le ore senza elettricità invece di diminuire sono di colpo aumentate da 8 a 14. Ma imperterrita la ministra ha affermato in conferenza stampa che entro dicembre i blackout finiranno. Se ci crede lei... Ci sarebbe da ridere se per l’economia del paese questa situazione non fosse da piangere.
E tutto questo mentre gli altri problemi che affliggono il paese, delinquenza, impoverimento, emergenza ambientale da estrazione di oro e petrolio non sono certo scomparsi e rischiano di peggiorare con la crisi economica causata dai blackout dato che ogni ora senza elettricità si stima costi al paese circa 12 milioni di dollari.
È dura accettare, anche solo aprire gli occhi sul fatto che le risorse per l’umanità sono sempre più allo stremo, la scarsità d’acqua, il clima sempre più insostenibile in varie parti del mondo, la domanda di terre fertili che porta a sempre più deforestazione, le disuguaglianze crescenti e tutto il resto.
In queste situazioni le popolazioni indigene sono sempre le più “resilienti”, per usare un termine che va tanto di moda, dato che coltivare la propria chakra con l’aiuto del machete, tessere borse in fibra di pita, cucinare maito sul fuoco sono tutte attività che non richiedono elettricità e rappresentano la quotidianità per tante famiglie, blackout oppure no.
Mentre per tanti l’unico pensiero è se il governo sospenderà o no i blackout quotidiani per la partita della nazionale ecuadoriana di calcio, chissà che per alcune, si spera tante, persone questo non rappresenti un’occasione: per bambini e adolescenti staccarsi per qualche ora dal telefonino e riscoprire il piacere di giocare insieme, per qualcun altro leggere addirittura qualche pagina di un libro (cosa quanto mai rara qui), o semplicemente conversare, magari mentre si cena a lume di candela. Troppo romantico, vero?
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